Recensioni della libraia – Zebio Còtal

“…pareva che tutto quel sole che batteva contro i suoi muri non riuscisse a entrare nelle stanze”.

Così si presenta la casa di Zebio Còtal, ed è già chiaro che ogni speranza di serenità si fermerà fuori da quelle mura. E così è il tratto del libro, un continuo gioco di chiaroscuri e di contrasti tra il mondo di Zebio e il mondo intorno a lui; tra i membri della famiglia; tra Zebio e sé stesso.

In mezzo a una campagna emiliana che inonda le pagine di luce, di campi verdi e dorati, di tende mosse dalla brezza, di cielo limpido e di trattorie ombreggiate dove è bello riposare, la terra di Zebio è un’isola di disperazione.

È una terra povera forse, ma soprattutto la terra di un uomo che non vuole più spaccarsi la schiena e che alle fatiche preferisce mezzo litro di vino. Se ascoltasse i propri pensieri, che nei momenti di lucidità si presentano come epifanie, forse riuscirebbe a raddrizzare un poco la propria esistenza, ma davanti a ragionamenti che lo mettono in difficoltà con sé stesso, come davanti ad uno specchio, risolve sempre con una bevuta. Zebio è disgraziato nel lavoro e nel proprio essere, così cattivo nei momenti di autocommiserazione da diventare disgustoso. È rabbioso per la terra che non gli dà quello che dovrebbe e per i sei figli che deve mantenere senza averne i mezzi; è rabbioso per le avversità che lo lasciano a margine di una comunità che pur vivendo di stenti come lui sembra però cavarsela meglio.

Dal punto di vista umano il dramma è che Zebio sia convinto di essere in guerra perenne con tutti, mentre in verità nessuno ha più alcuna considerazione per quest’uomo né, in fondo, un pensiero da dedicargli.

Al fianco di questo essere violento c’è la moglie Placida, una donna dimessa e così debilitata dalla fatica e dal marito da non avere più forze per opporglisi. L’unica cosa che può fare quando è libera dal lavoro nei campi è amare i propri figli e affidarsi a Dio, e anche questa fiducia sembra più che altro una scommessa nella quale l’unico giocatore è l’essere umano.

Il contrasto Zebio/Placida è anche nei figli, simili a loro ma anche l’uno il contraltare dell’altro: Pellegrino e Glizia ricordano fisicamente il padre, ma se il primo probabilmente ne seguirà le orme, Glizia è la lottatrice che cerca di uscire da un’esistenza disperante. Lo stesso vale per Bianco e Zuello, ritratti di Placida, da cui Bianco erediterà anche il carattere sottomesso, mentre Zuello si muoverà verso quel po’ di serenità che gli è dovuta.

Glizia e Zuello cercano una piccola luce a cui aspirare: quando il punto di partenza è l’inferno, per essere sereni è sufficiente uscire da lì, non è necessario trovare il paradiso.

Di fronte a Zebio si prova insofferenza; la sua cattiveria è chiara a tutti, senza se e senza ma. Eppure, nonostante lo disprezziamo per la gratuità della sua violenza, non possiamo non capirne la rabbia, che gratuita non è, anche se viene sfogata con comportamenti subumani. È la disperazione della piccola gente, quella dei poveri che se la prendono con i poveri, in una comunità in cui tutti si conoscono e credono di avere il diritto di giudicare gli altri, forse per non giudicare sé stessi.

Zebio non può piacere, e tuttavia ci sono momenti nei quali sembra quasi infantile, per esempio quando gioisce davanti alla bellezza dei grassi campi degli altri; e se subito dopo, guardando i suoi, precipita nel buio della propria esistenza e viene colto dal livore, è come se in fondo al suo essere fosse rimasto un briciolo di “ingenuità” che gli permette, semplicemente, di godere di quella pienezza, dimenticando per un momento che quella fortuna non è la sua.

Così quando tutto precipita su quest’uomo, e il mondo lo chiude in una bolla di indifferenza e di dimenticanza, quando questa volta anche la natura si adegua, allora noi continuiamo a biasimarlo, non possiamo fare altrimenti, ma forse non più dal piedistallo dei “giusti”.

È un libro per il quale ringraziare l’editore che lo ha ripubblicato. Ed è un libro da leggere per capire, tra tanta pubblicità ai nuovi titoli, osannati sempre come capolavori, quale sia la differenza tra narrativa e letteratura.

Guido Cavani, “Zebio Còtal”, ed. Readerforblind, € 16,00

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