Recensioni della libraia – C’era una volta in America (The Hoods)

Un passato da criminale nell’America degli anni ’30. Gangster e testimone della malavita newyorkese. Harry Grey era questo. Poi scrittore.

Maxie, Noodles, Patsy, Cockeye, Jake, Pipy…legati dall’essere cresciuti nella Lower East Side; legati dall’essere disprezzati dalle persone “perbene”, che hanno basato la propria rispettabilità sul denaro, senza farsi troppi problemi sui mezzi per ottenerlo; legati dalla consapevolezza di essere disonesti nella vita, ma comunque più onesti di tutte quelli che si trovano dalla parte giusta della società: dei politici che comprano voti, dei sindacalisti che si lasciano corrompere quando dovrebbero battersi per i lavoratori, delle forze dell’ordine che per qualche soldo sono disposte a girarsi dall’altra parte.

“Be’ dov’è il tuo amore sviscerato per gli oppressi? Ti hanno comprato. Hai venduto le tue opinioni liberali. Per una charlotte russa.”

È così che tutti si lasciano comprare. Con una charlotte russa. Può trattarsi di soldi, di potere, o dei voti degli elettori. Sempre di charlotte russa si tratta, la stessa con cui i protagonisti, da ragazzini, compravano le giovani prostitute.

È la storia di un’amicizia.

È la storia della nascita delle bande di gangster nell’America del proibizionismo, delle sale da gioco, degli speakeasy.

È la storia di una spirale di violenza e di cattiveria che sembra trascendere ogni limite.

È anche una storia di rabbia che non si può e non si vuole mettere a tacere (contro chi mette le famiglie su una strada; contro le religioni che chiedono solo di pregare e accettare passivamente, promettendo un premio futuro che questi ragazzini non intendono aspettare; contro chi indossa una maschera che nasconde il delinquente, e per questo può permettersi di fare ciò che vuole e sputare addosso agli altri).

È una storia di fame: per tutto il libro i protagonisti mangiano, mangiano appena possono. Bambini mangiavano quello che potevano permettersi con cinque o dieci centesimi; adulti, ormai ricchi, ricchissimi , sembra che non riescano a staccarsi dal ricordo della fame patita.

È una storia di ebrei criminali.

È una storia di americani falsi.

Il disprezzo rasenta l’odio proprio nei confronti degli americani, i padroni di casa, quelli che si riempiono la bocca con il loro essere produttivi, con il loro avercela fatta, in una parola “con il loro essere Americani”:

“Fottuto bastardo.” Maxie gli sputò in faccia.” Prova a sventolarla, la bandiera![…]. Hai una casa da gioco truccata. Ti agguanti tutti i profitti. Paghi male quelli che lavorano per te. Probabilmente vai in giro a mettere paura alla gente con quella vigliacca organizzazione del Klan. E saresti un buon americano? Rubi perfino il diritto di voto, con i registri falsificati. Ti consideri migliore di Frank! […]”.

Ma in fondo la fotografia del Paese è nella considerazione di Noodles:

“Be'” pensavo “hanno ragione tutti e due. Questo rognoso è l’America, con il suo Ku Klux Klan e tutta la schifosa mangiatoia truccata. In quale parte del mondo se non in America, lo si trova un personaggio come questo politicante ladro? Dove, se non in America, potrebbe esistere una figura come Frank? E noialtri della gang, tutti veri e tipici americani” risi tra me. “Dio benedica l’America”.

Un Paese di ipocriti in vendita per una charlotte russa.

Il fatto che il linguaggio sia quello a cui ci hanno abituato i film di genere e che sia sottolineata la tracotanza di questi personaggi, a mio avviso non fa che aumentare il piacere della lettura, perché alcune frasi possono sembrare scontate, ma sinceramente è quello che noi, oggi più corretti, timorosi di quello che diciamo e di come lo diciamo, ci aspettiamo e assolutamente vogliamo dai gangster degli anni ’30.

Harry Grey, “C’era una volta in America” (in realtà “The Hoods”, ma si è preferito mantenere il titolo del film per permettere di identificare la storia in modo più immediato), Mattioli 1885, trad. Benedetto Montefiori, € 20,00

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