
Grottesco e poetico, brutale e commovente.
Situazione di partenza: Yuna sembra avere un certo ritardo mentale; la sorella è orribilmente deforme motivo per cui, bambina, lei la odia; la madre è stata abbandonata dal marito e probabilmente sfoga le proprie frustrazioni sugli alunni; la zia è una “zitella” piena di fobie, follie, e aggrappata alle convenzioni; la cugina Carina una vittima; la cugina Petra, altra vittima ma anche carnefice….Proprio tutti gli ingredienti per dire “anche no”.
SBAGLIATO. SBAGLIATISSIMO. (d’altronde chi mi segue sa che non farei una recensione su uno strappalacrime, quindi proseguite pure tranquilli)
Protagonista e voce narrante, Yuna racconta sé stessa e la propria famiglia, piccolo mondo di menomazioni e deformità, con un linguaggio (due in realtà, ma del secondo parlerò più avanti) del tutto particolare, perché è il linguaggio che, a suo dire, scaturisce dalla minorazione mentale che la porta a capire in ritardo ciò che la circonda.
Perfettamente consapevole della propria condizione, la bambina, che vediamo crescere e diventare donna, cerca faticosamente di migliorarsi per rientrare nel canone “persone normali”. Il lettore stesso percepisce i cambiamenti espressivi nella scrittura, che partendo dall’assenza di punteggiatura per “non confondere i pensieri”, diventa poco a poco più lineare.
“Confondere i pensieri”. La mancanza di una punteggiatura adeguata ha una spiegazione diversa da quella che lei definisce minorazione: Yuna non può usare i punti (e anche con le virgole ha qualche problema) perché il punto richiede una pausa e una logica per costruire la frase successiva. Tuttavia durante queste pause i pensieri le si affollano in testa, le sensazioni si fanno lo sgambetto l’una con l’altra, e il risultato è che, lungi dal mettere ordine nella narrazione, la punteggiatura diventa l’origine di una torre di emozioni che crolla a confondere tutto. Quando termina una frase con un punto, infatti, deve sottolineare che si tratta di una pausa, perché questo è il suo sistema per dare continuità al pensiero.
La minorazione di Yuma in realtà è accompagnata da un’eccessiva capacità di “sentire” le situazioni, le persone e le proprie emozioni. La bambina, e poi la donna, ha una percezione immediata della realtà e di quello che le sta dietro, e l’urgenza di esprimere in qualche modo ciò che “vede” trova nel disegno il proprio medium. E questo è il secondo linguaggio – quello poetico – del romanzo: la capacità di Yuna di esprimere con colori quello che non riesce (o non può) esprimere a parole e la capacità di Venturini di metterci davanti a dipinti inesistenti e farci cogliere immediatamente l’emozione che sta dietro e dentro ad essi. Come fossimo davvero davanti ad un quadro.
È un romanzo poetico e al tempo stesso di uno humor nerissimo, con una descrizione delle disgrazie umane che di primo acchito risulta quasi imbarazzante, per noi che oggi cerchiamo di ingentilire situazioni che potrebbero essere offensive.
Il linguaggio totalmente privo di filtri della protagonista riscrive i drammi famigliari, le vendette colorate di “femminismo” e le idiote convenzioni sociali, ponendoli in un mondo grottesco, dal quale poco alla volta la crescita anagrafica e intellettuale e la conseguente presa di coscienza della protagonista saranno in grado di estrarre una sentimento di comprensione da cui deriva anche la pietà umana.
Plauso a Venturini la cui feroce ironia permette di digerire quanto di più crudo al mondo, senza strapparsi i capelli ma ragionando sull’essere umano.
Un romanzo di formazione del pensiero critico, i cui i passi permettono al sentire umano di comprendere l’altro da sé, nel bene ma anche nel male, e di maturare.
“Credo che il dizionario mi aiuti, credo che supererò le difficoltà che prima credevo insuperabili per non parlare di quello che ho in mente ed è che se esco completamente dalle mie minorazioni andrò a vivere da sola perché tutta questa gente mi stanca e io vedo nel profondo anche se parlo in modo superficiale e questo che vedo in profondità non mi piace e da lontano mi farà meno male o non mi importerà perché di minuto in minuto mi allontano sempre di più da quella che chiamano famiglia e di minuto in minuto ho più considerazione di me stessa. Comprai una grande tela per dipingere il mio mondo.”
Aurora Venturini, “Le cugine”, traduzione Francesca Lazzarato, edizioni Sur, € 16,50.