Questo è un libro che pur non essendo propriamente un romanzo, come tale si legge. Sostanzialmente è diviso in due parti che si legano meravigliosamente. Alabama, non distante dal luogo dove Lee è nata e cresciuta: in sette anni sei morti sospette delle quali viene accusato un reverendo nero, sempre scagionato grazie alla difesa di un famoso e bravissimo avvocato (bianco). Al funerale dell’ultima vittima però il reverendo viene ucciso con tre colpi di pistola davanti a trecento persone. Il processo è partecipatissimo perché la cittadinanza si era sempre domandata come mai questo omicidio non fosse avvenuto prima e soprattutto perché l’avvocato difensore di quest’uomo è lo stesso che precedentemente aveva difeso il reverendo. Al processo assiste Harper Lee: capisce che potrebbe essere la storia perfetta, ed è un soggetto con il quale in teoria si dovrebbe sentire a proprio agio, avendo seguito processi da quando era bambina e avendo una esperienza importante nella raccolta dei dati, esperienza fatta aiutando l’amico di sempre Truman Capote quando si apprestava a scrivere “A sangue freddo”. Ma qualcosa la blocca; l’ansia da prestazione? La volontà di essere perfetta? Magari qualcosa che è insito nella mentalità dell’Alabama e forse in lei? Questo lo si scopre leggendo Cep, così come si capisce qualche cosa di intimo di Lee e qualche cosa di poco noto sul suo famoso romanzo. Libro molto interessante anche per alcuni collegamenti con altri autori e, per quanto mi riguarda, per la storia di alcune pratiche (per esempio le assicurazioni sulla vita) che ancora oggi lasciano stupiti.