
Si presenta come fosse un testo teatrale, quasi senza descrizioni e totalmente costruito sui dialoghi. Da qui anche la difficoltà di scriverne senza spoilerare nulla.
La coppia: Eva, fragile e vagamente isterica; Bruce, pregi e difetti e forse “l’eroe” di questa storia. Intorno il circo Barnum di amici e conoscenti, tutti pianeti e qualche satellite. Tutti però capaci di rimanere aggrappati alle amicizie giuste, quelle che permettono i quindici minuti di notorietà. Democratici sconvolti dall’elezione di Trump, Liberal ma non Radical Chic semplicemente perché molto chic e molto meno radical.
Attorno a Eva, figlia di rifugiati ebrei e così terrorizzata da una possibile deriva fascista in America da utilizzare questa idea come scusa per l’acquisto di un appartamento a Venezia, questo gruppo di personaggi che certamente per amicizia e altrettanto sicuramente per tornaconto personale la circonda di attenzioni (alcuni, i più spiantati e quindi i più a rischio, ripagando a proprio modo questo privilegio).
Noi lettori osserviamo e ascoltiamo persone che si conoscono da decenni per frequentazioni comuni, che cenano insieme, ma che sono così prese dal vortice dei propri sforzi per restare ancorati all’ambiente e alle persone che contano, da non sapere spesso nulla gli uni degli altri, nemmeno il nome o il mestiere. Per chi legge, questo concetto di amicizia è destabilizzante.
Eppure protagonisti e co-protagonisti , certamente più simili al loro orco personale Trump di quanto il loro intelletto riesca (o voglia) comprendere e sopportare, non sono totalmente condannati dall’autore. A tratti sono guardati con una certa simpatia, quando a sprazzi, come in una trasmissione disturbata, sembra apparire una coscienza che ne svela anche la fragilità.
E’ come se Leavitt avesse voluto smascherare un ambiente che aveva potenzialità che però non è stato in grado di riconoscere (o che per comodità e abitudine non ha voluto riconoscere) e nello stesso tempo con un sorriso ci dicesse “Va beh dai, la gente è fatta anche così, non possiamo mica ammazzarla”.
E le ultime pagine del romanzo sono un altro perfetto esempio di “decoro”, quasi un gettare la spugna da parte dell’autore (e del lettore). Perché anziché considerare quanto succede da un punto di vista etico e morale, cosa che sarebbe giustificata proprio dal fatto che si è tra amici, alla fine quello che prevale è la bellezza dell’atto, la perfezione dell’immagine nell’occhio di chi la osserva.
David Leavitt, “Il decoro”, SEM