
Con In Patagonia Bruce Chatwin è diventato un autore di culto, che ha cambiato per sempre l’idea di letteratura di viaggio. Vent’anni dopo, Adrián Giménez Hutton ha messo alla prova la verità di quel diario, ripercorrendone le tappe e cercando di rintracciarne luoghi e personaggi.
Dopo due anni e quasi diecimila chilometri sulle tracce di un vagabondo scaltro a confondere i propri passi, senza tralasciare nessun incontro e nessun dettaglio (la ricerca della pelle del milodonte, la baracca di Butch Cassidy, la leggenda della Città dei Cesari, le spedizioni di Magellano e Darwin, la storia dell’indio Jemmy Button, la colonia missionaria del reverendo Bridges, il fiordo Última Esperanza), l’inseguimento ha preso la forma di un volume, che è nello stesso tempo un indimenticabile affresco di quell’estremo lembo di mondo e un ritratto del suo narratore più famoso.
Se per Giménez Hutton la stesura di questo singolare libro è stata soprattutto l’occasione per calcare le orme di un mito, per il lettore odierno si tratta di ritornare all’opera di Chatwin, e rivisitarla ormai a quasi quarant’anni dalla sua uscita. Questo non è un libro critico nei confronti di In Patagonia (anche se spesso ne sottolinea le incongruenze) né un libro che lo esalta. È il resoconto di un viaggio che ripercorre un altro famoso viaggio: pagine che rievocano la lunga storia delle esplorazioni in Patagonia, sovrapponendo ai luoghi reali lo spazio immaginario dei libri che in quella regione hanno intravisto il simbolo di un altrove assoluto e irraggiungibile.
E in questo libro, come in quello di Chatwin, oltre al diario si scopre un’appassionata elegia della lontananza, e una medesima condizione esistenziale: quella di chi si sente a casa solo lontano da casa.
Adrian Giménez Hutton, “Chatwin in Patagonia”, Nutrimenti,€ 19,00